DISABILITÀ E MONDO DEL LAVORO TRA POSSIBILITÀ E CAPACITÀ

Nel primo articolo della Costituzione Italiana, fondata il 22 dicembre 1947, si legge che l’Italia, intesa come popolo, è una Repubblica fondata sul lavoro, senza specificarne il sesso, le peculiarità soggettive o se vogliamo essere più precisi, le gradualità motorie o sensoriali. Nel secondo, viene garantita la tutela di tutti quei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo e sia nella formazione sociale ove si svolge la sua personalità, attraverso l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica e sociale. A conferma di questo, l’articolo quarto, della nostra Costituzione, inizia proprio con la frase; “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale …”.

Credo che siano sufficienti queste poche frasi o righe del documento Costituzionale per comprendere che non è sufficiente una buona legge per garantire i diritti umani e questo lo si può capire semplicemente dal fatto che nonostante tutti i bei discorsi fatti da chi sa quanti anni, continua a sussistere una netta disparità tra uomo e donna, padrone e lavoratore e così via. Oltretutto, per il tema che stiamo trattando, va detto con molta chiarezza che non si può parlare di pari opportunità se si rimane inconsapevoli che come persona si nasce, limiti si possiedono.

Questa riflessione vale e riguarda, non solo il lato oggettivo della persona, ma tutta la sua integrità che consiste, non soltanto nella sua libertà di poter essere, ma soprattutto del suo divenire che si realizza, attraverso una propria e concreta realizzazione che avviene e si conquista tramite lo studio, il lavoro, la creazione di una famiglia e quant’altro. Riguardo a questo ultimo punto, va anche sottolineato che se le leggi vengono create e fatte, non semplicemente per un reale convivere civile, ma soprattutto per tutelare i diritti della singola persona, e tramite le stesse, valutare e salvaguardare le sue peculiarità intellettive e creative, esse rimangono incompiute se non sono sostenute sia nel senso economico e sia in quello programmatico e organizzativo, poiché, oltre a dover essere accompagnate da una coscienziosa evoluzione umana, hanno bisogno anche di risorse civiche, piuttosto che morali.

Una delle tante prove che ci dà conferma sul perché le leggi non potranno mai essere sufficienti alla tutela e salvaguardia dei diritti della persona, la riscontriamo in quella più importante sull'inserimento sociale dei cosiddetti 'Disabili' o 'Diversamente abili' se così vogliamo definirli. Come infatti, anche se nella prima metà degli anni ottanta del secolo scorso, per favorire un adeguato e progressivo cammino sociale di codesti soggetti, si pensò che fosse di primaria importanza iniziare con la chiusura degli istituti e con essi, le scuole differenziali, anche perché si credeva che questa sarebbe stata l'unica maniera possibile per avviare un valido percorso evolutivo, sia per loro stessi e sia per una società che all'epoca si trovava molto impreparata e disarmata, non solo sotto il profilo educativo all’accettazione, ma soprattutto in quello programmatico assistenziale ed evolutivo dei soggetti in questione. Fatto sta che nonostante tutti i decreti e le legislazioni, ancora oggi vi è carenza di maestre e insegnanti di sostegno, oltre che un programma mirato per soggetti con patologie gravi o difficoltà di apprendimento. Per questa cruda realtà, la signora Rima Maria, di Sassari, è stata costretta a ritirare la figlia da scuola, perché essendo autistica e non avendo l'insegnante di sostegno, era stata abbandonata a se stessa.

Riporto il pensiero scritto dalla giovane figlia; “Ho 19 anni sono una ragazza speciale con tanta volontà e dovrei frequentare il 4° anno all’Istituto d’Arte. Dico dovrei perché la mia mamma oggi mi ha ritirato da scuola. Passo le mie ore seduta in classe a guardare gli altri studenti e sapete perché? Perché non mi danno ciò che mi spetta. Le insegnanti e gli educatori. Quindi a malincuore lascio la scuola. Ora chiedo: politici, dove siete? In quanti mi risponderete? Chiedo a tutti di fare arrivare la mia voce più lontana possibile”. (Corriere della Sera, 4 Ottobre 2019).

Senza studio non vi è conoscenza e né futuro per chiunque esso sia. Non si ha la possibilità di crescere mentalmente, poiché è soltanto attraverso la conoscenza che possiamo distinguere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, il corretto dallo scorretto e individuare i giusti mezzi del decidere, quali siano le cose che più ci interessano e su quest’ultime, costruire il nostro domani.

Se a distanza di quarant’anni e più, il mondo della scuola non è ancora in grado di provvedere ai bisogni essenziali dei ragazzi o giovani con particolari diminuzioni soggettive che possono essere sia pratiche che cognitive, figuriamoci se si può parlare d’inserimento lavorativo, se codesto non sia o viene sostenuto e condiviso da una responsabilità civica che possa tramutare, l'immutabile stato di assistenzialismo in vera collaborazione attiva con le persone interessate. Oltretutto vi è anche da dire che per quanto riguarda l’inserimento lavorativo della persona con limitazioni di scioltezza nei movimenti e non solo, nella Convezione dell’ONU del 25 agosto 2006, nell’articolo 27, vi è dichiarato che tutti gli Stati membri, “… riconoscono il diritto al lavoro delle per-sone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di po-tersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’acces¬sibilità alle persone con disabilità …”. Sottoscritto questo e nel riconoscere che non basta avere delle nobili intenzioni, affinché un buon principio si realizzi, lo stesso articolo prosegue indicando una serie di misure per “… garantire e favorire l’esercizio al diritto al lavoro, anche a coloro che hanno subito una disabilità durante l’impiego …” che dovrebbe essere posto in essere, non soltanto con l’effettiva demolizione degli ostacoli che il mondo del lavoro attualmente frappone, ma attraverso serie e sensate azioni tecniche e legislative. (Disabilità e lavoro: Un binomio possibile) -‘FONDAZIONE DON GNOCCHI – ONLUS’. Documento internet – Autori vari.

Certo, sotto il profilo etico e civilistico è perfettamente corretto anche riguardo al concetto delle pari opportunità, ma il mancato inserimento lavorativo dei soggetti con limitazioni d’agilità motorie o fisiche per meglio dire, non può essere giustificato alla crisi che da decenni ha colpito e sta attraversando il nostro Paese, anche perché, se da un lato il lavoro scarseggia per tutti, dall'altro o meglio, per chi possiede delle limitazioni di scioltezza motoria, non solo si ritrova a lottare contro i pregiudizi e le ingiustizie di una società, sempre più travolta e condizionata dalle apparenze, ma principalmente da tanti ostacoli emotivi e sensoriali che a volte possono sorgere anche nel proprio nucleo familiare, sia sotto forma di protezione illusoria e sia nella mancanza di fiducia del mondo esterno, oltre all'effettiva conoscenza delle concrete potenzialità di un figlio, apparentemente inidoneo al completo raggiungimento dei propri desideri od obiettivi.

Ciò ci conduce all'amara constatazione che uno dei peggior mali che possiamo recare agli altri sotto forma di bene, è proprio quello di dar tutto per scontato senza prima aver verificato. Se questo succede tra di noi, immaginiamoci se si possa pretendere che non accada nell'animo di una madre che per sua indole desidera solo il bene del proprio figlio.

Ritornando al nostro discorso e in particolar modo su le facili apparenze, vi è da dire che nonostante sia vero che l'essere autonomi, significa 'Autogestirsi', ciò non toglie che per qualunque persona, indipendentemente se si è bambini, giovani, anziani, si ha sempre bisogno di una città a misura d’uomo.

Per essere veramente tale necessita, non solo di scivoli o pedane per il libero transito di una carrozzella, anche perché non deve essere codesta a poter circolare, bensì la persona ad aver la possibilità di muoversi liberamente. Oltretutto, una Città per essere a misura d’uomo, necessità di specifici uffici di collocamento mirati non solo alla degnazione della ricerca di lavoro ma, soprattutto alla formazione del soggetto in difficoltà, come ci è ben indicato dalla legge n. 68 del 12 marzo, 1999 sulle ‘Norme per il diritto al lavoro dei disabili’ e che, dal gennaio 2000 ne ha disciplinato i criteri, cercando di renderle fattibili anche per quei soggetti o meglio, persone con limitazioni cognitive e cioè, coloro che in gergo, identifichiamo e chiamiamo ‘Insufficienti mentali’, fingendo di non capire che come all’handicap umano non vi è limite, l’incoscienza del proprio sé, è il peggior mal che una persona possa possedere.

Come Handicap significa ‘Ostacolo’ in qualcosa, è sufficiente un pizzico d’incoscienza sensoriale per tramutarci in autentici invalidi civili che consiste nell'abusare della propria abilità su piccoli bambini indifesi per picchiarli o maltrattarli; ammazzare la propria ex fidanzata, moglie, compagna o nascondersi dietro a un proprio credo per sottomettere e uccidere in nome di un Dio che tutto può essere, tranne che padrone dei propri figli e del loro uman vivere.

Essere ‘Invalido civile’, non ha nulla in comune con l’essere seduti su un trono a rotelle e, neanche la mancanza di possedere un linguaggio perfettamente chiaro, o occhi che non possono vedere e ammirare le meraviglie che circondano un essere umano, ma semplicemente, 'Mancanza di civiltà’ che certamente, può esserne privo anche un cosiddetto disabile, dato che anch’egli, essendo persona, possiede una propria emotività, che come tutti, non sempre ha la forza o preparazione sul come controllarla.

Specificato ciò, anche perché credo che come sia di primaria importanza saper distinguere un handicap da un’incoscienza sensoriale e una disabilità da una propria destrezza o personalissimo modo di fare, che come a sua volta, non ha nulla in comune con il poter raggiungere, allo stesso modo e a maggior ragione, l'essere in grado, non potrà mai essere verificabile, se a posteriori non si creano le possibilità, affinché esso possa esprimersi nella sua realtà.

Possibilità che non si racchiude semplicemente nel saper qualcosa, ma nel poter fare. Una possibilità del fare, che oltre a consistere nel potersi muovere liberamente tramite o attraverso ascensori, scivoli, mezzi di locomozione per carrozzine, necessita anche di locali idonei, i quali, non solo devono essere situati al pian terreno ma il loro interno deve essere arredato con mobilia comoda e su misura alle difficoltà del soggetto. Scrivanie comode e strette per poter avere tutto a portata di mano; interruttori non molto alti e prese non basse; bagni attrezzati con poggiamano e sanitari particolari; porte con apertura antipanico larghe e quant'altro.

Tutte cose e bisogni questi, non semplici da realizzare, anche perché, come ogni persona ha o possiede una sua originalità sotto il profilo pratico, la disabilità o meglio, le limitazioni agitali, non essendo tutte uguali o del medesimo grado, necessitano da parte dei datori di lavoro e dalle industrie immobiliari di un minimo approccio con l’interlocutore. Obiettivo questo, certamente non facile.

Senza voler generalizzare, vi è anche da dire con un po' d'amarezza che a tutte queste problematiche che una persona con difficoltà oggettive deve affrontare, molte volte ci si aggiungono quelli di tipo genitoriale, i quali se sotto l'aspetto affettivo possono apparire come un fatto di protezione emotiva nei riguardi del proprio figlio, in pratica non è altro che il risultato o frutto di un bene contorto.

Contorto perché? Semplicemente dal fatto che il voler il bene di un figlio, soprattutto se costui è o si trova con particolari realtà o limitazioni, non sta nel convincerlo che sia meglio evitare illusioni o brutte esperienze e con ciò, tramutarsi in pionieri e protettori della sua tranquillità interiore, perché questo è l’unico modo per tutelarlo e tenerlo lontano da delusioni, amarezze e umiliazioni, senza accorgersi o rendersi conto che così facendo, non avrà mai la possibilità di sentirsi veramente libero e autenticamente persona compiuta.

Sì, certo, l'amore di una madre è l’atto più nobile e prezioso che un figlio può avere e se poi, a questo si allarga anche a tutti gli altri componenti del nucleo familiare, sia¬mo proprio al top. Il bene può diventare, quando prende le forme dell’Assistenzia¬lismo, nel senso che si ferma alla scuola dell’obbligo, senza poi, pensare e lottare a suo fianco per il concreto raggiungimento dei suoi desideri e obiettivi che sono i due punti essenziali che permettono a ogni soggetto umano di sentirsi parte viva in se stesso, oltre che attivo collaboratore nel e verso il benessere del mondo a lui circostante, non solo il nemico peggiore da cui sapersi acquistare o conquistare la sua fiducia, ma più dolorosamente, il gradino più alto d'affrontare e saper superare.

Solo nel momento in cui - e grazie a Dio, sono in minoranza -, i genitori, in particolare, la parte materna, troverà la forza di trasformare la delusione del parto in coraggio, potrà accorgersi ed essere cosciente che come dove non c’è un sogno non esiste futuro, in egual misura, non vi è una disabilità tanto grave da non permettere sia la realizzazione di se stesso e sia l’orgoglio d’essere semplicemente madre e orgogliosamente sostegno di un figlio che desidera semplicemente essere radice delle sue possibilità e frutto della propria destrezza.